Emozionarsi

La scelta di come vivere le emozioni, è tua.

“Le parole generano emozioni, le emozioni generano comportamenti”

Con queste parole pronunciate dalla mia trainer in cancer coaching Mara Mussoni incomincio questo articolo sul tema: emozioni.

Diamo troppo poco peso a quanto il nostro stato emotivo incida sul nostro agire e quanto la nostra influenza possa essere incisiva nel gestirle.

Di recente ho concluso un master in coaching oncologico che mi ha segnata molto profondamente.

Si è parlato di molti aspetti legati alla malattia, ma non solo, tanti temi sono risultati profondamente veri anche nella vita di ogni giorno e hanno molto a che fare con il modo in cui decidiamo di prendere ciò che ci accade, quali emozioni mettiamo in campo e quanto siamo disposti ad attraversarle, senza subirle, vivendole, invece.

La sofferenza richiede cambiamento

Perché la vera domanda è: cos’è malattia? Possiamo dire che la malattia è anche un mal di vivere? Una sofferenza alla quale ci si può abituare?

Io penso di sì.

Questo aspetto mette un po’ di inquietudine, a ben pensarci! Ma non voglio che questo articolo sia triste e ansiogeno, voglio invece che possa essere uno stimolo a guardare alle cose con occhi diversi.

Proviamo a capire un attimo cos’è la sofferenza. È uno stato interiore che nasce quando viviamo uno scollamento tra aspettative e realtà. È uguale per tutti? No. Si tratta, come per gli altri stati emotivi, di una percezione soggettiva.

Quindi la sofferenza è soggettiva. Come possiamo dire che una persona ha più motivi di soffrire rispetto ad un’altra? Ognuno vive la sua, legata alla propria esperienza, alla propria vita, allo sguardo che si è costruito osservando la realtà che lo circonda.

Di bello c’è che, cambiando la percezione che abbiamo di ciò che ci accade, cambiamo la realtà e questo significa che possiamo trasformare anche la sofferenza che ci accompagna. Possiamo metterci rimedio, come diceva la mia saggia nonna.

In questo cambiamento ci aiuta ricordare sempre che non c’è una sola versione di un fatto, ma molti modi di poterlo interpretare e vivere. Ed è un allenamento, cercare di guardare oltre a ciò che ci viene più spontaneo e istintivo, a come siamo abituati a guardare le cose.

La comunicazione è sempre un punto di partenza

Per riprende la frase con cui ho iniziato questo scritto, una delle prime cose da fare per aiutarci a prendere la direzione più costruttiva nell’affrontare le emozioni e la sofferenza, è di utilizzare parole che generino in noi leggerezza, apertura, luminosità, e limitare invece le parole che generano chiusura, pesantezza, ansia, paure.

Inoltre, è fondamentale iniziare a porsi domande interiori che facciano entrare nella soluzione alle cose che ci accadono, evitando quelle che ci tengono nel problema, ad esempio, “perché è capitato a me?”.

Pensate a quanto è forte l’impatto di come raccontiamo le cose dentro di noi, a quanto questo influenzi il nostro comportamento. Chi siamo noi, se non le storie che raccontiamo a noi stessi, su di noi e a cui crediamo?

Dare un nome alle cose

Questo è anche uno dei motivi per cui è così importante saper dare un nome alle emozioni che proviamo. Quando sappiamo ben identificare qualcosa dandogli un nome, è come se gli dessimo una forma, la rendessimo concreta, e questo è vero anche per ciò che sentiamo. Affrontare una cosa concreta è più semplice che affrontarne una dai contorni sfocati, poco chiara e confusa.

Lavorare sul proprio vocabolario emotivo è un buon esercizio per imparare a riconoscere ciò che si muove dentro di noi e la nostra tensione verso stati che consideriamo utili da quelli che invece lo sono meno.

Si tratta di fermarsi e ascoltarsi. Utilizzare lo strumento dell’auto-osservazione, una buona pratica che se adottata porta enormi vantaggi sul benessere personale. Per raggiungere questo risultato e dare il giusto nome a ciò che proviamo, è importante portare l’attenzione su più livelli, ascoltare il corpo, i pensieri, il sentire interiore, le parole che vengono generate da quello stato e le azioni che ne conseguono.

È un esercizio impegnativo, ma estremamente importante e generativo.

L’uomo è portato a ricercare il piacere, è vero, ma questo non significa che per raggiungerlo si debba pensare di non provare mai emozioni che possono provocarci sofferenza. È impensabile, siamo fatti di molte sfumature, alcune ci piacciono di più, altre di meno.

Per comprendere fuori devo prima comprendere dentro: cosa fare?

Quando vogliamo trasformare un’emozione che non ci fa stare bene, anziché creare un’omeostasi di sofferenza e abituarci a quello stato, è importante trovare il coraggio di agire e attraversare il dolore o la paura o la rabbia per sciogliere il nodo che ci tiene lì e raggiungere finalmente il piacere che ci meritiamo.

Si tratta di una strada di consapevolezza, di scelta e soprattutto di azione. È il fare che trasforma, non la sola conoscenza e comprensione, anche quando si parla di emozioni.

Possiamo fare molto in prima persona per percorrere questa strada, ricordando che il mondo esterno è il riflesso di ciò che si muove dentro. Per comprendere fuori, devo prima comprendere dentro.

Di fronte a ciò che ci accade e al viverla con sofferenza o malessere, rispetto alla possibilità di affrontarla in molti modi diversi, utilizziamo sempre quella che io chiamo “la domanda magica”: mi è utile guardare, vivere, prendere questa cosa in questo modo?

Provate ad utilizzarla e sentite come, una semplice domanda come questa, abbia la forza di spostare la nostra percezione e il nostro sentire verso altri lidi, più ricchi e splendenti per noi.



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